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Impugnazione sentenze del Consiglio di Stato, quando si può?

impugnazione

Tutti sanno che la Giustizia Amministrativa ha due gradi di giudizio: il Tribunale Amministrativo Regionale e il Consiglio di Stato.  Ma se anche il secondo e ultimo grado di giudizio non soddisfa le legittime aspettative del ricorrente, possiamo intervenire? Si, possiamo farlo: ci sono casi in cui tali possiamo procedere all’ impugnazione sentenze del Consiglio di Stato.

Infatti, l’articolo 106 del Codice di procedura amministrativa stabilisce che «le sentenze dei Tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato sono impugnabili per revocazione nei casi e nei modi previsti dagli articoli 395 e 396 del codice di procedura civile».

La giurisprudenza è costante nel ritenere che l’istituto della revocazione è un rimedio eccezionale che non può convertirsi in un terzo grado di giudizio (Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 marzo 2014, n. 1334).

In particolare l’articolo 395, comma 1, n. 4, del Codice di procedura civile prescrive che la revocazione è ammissibile «se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa», specificando che «vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare».

La giurisprudenza ritiene che perchè sussista errore di fatto revocatorio e conseguente abbaglio dei sensi del giudice, cioè perchè possiamo procedere all’ impugnazione sentenze del Consiglio di Stato devono esserci, contestualmente, tre requisiti:

a) attinenza dell’errore a un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;

b) «pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale» di atti ritualmente prodotti nel giudizio, «la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere esistente un fatto documentalmente escluso o inesistente un fatto documentalmente provato»;

c) valenza decisiva dell’errore sulla decisione essendo necessario che vi sia «un rapporto di causalità tra l’erronea supposizione e la pronuncia stessa» (Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 giugno 2015, n. 3895).

Devono, invece, ritenersi vizi logici e dunque errori di diritto quelli consistenti nell’erronea interpretazione e valutazione dei fatti e, più in generale, delle risultanze processuali (Consiglio di Stato, Sez. V, 21 ottobre 2010, n. 7599; Id., Sez. VI, 5 settembre 2011, n. 4987).

In definitiva, «mentre l’errore di fatto revocatorio è configurabile nell’attività preliminare del giudice di lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al significato letterale» esso non ricorre, tra l’altro, «nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali», che può dare luogo «se mai ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione» (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 10 gennaio 2013, n. 1).

 

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